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10 domande a Enrico Baleri
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Le 10 domande a Enrico Baleri diventano, come per magia, le 10 risposte a Giorgio Tartaro. Una lunga gestazione per risposte molto intime e provocatorie al contempo, come nello stile di Ernico Baleri. Avendolo conosciuto anni fa, io ancora giovane redattore a Modo, lui imprenditore e attivo nel recupero del progetto, l'ho ritrovato nel suo lavoro sui social network, con quelle perline di facebook che fanno pensare e discutere. Anche queste risposte sono 10 perline. Avevo pensato di pubblicarle a puntate, come si faceva un tempo. Decido di pubblicare l'intervista integralmente. Al massimo farete più accessi. :) Tra il figlio Starck e il papà Gavina.
Ritratto di Enrico Baleri con i volumi Giuro 1 e Alla Ricerca di Valori
Dieci risposte a Giorgio Tartaro da Enrico Baleri
Parto subito con una domanda che ti farà adirare. Chi è Enrico Baleri in massimo 10 righe?
R:Io sono da sempre un vero ladro, ladro di verità, ladro di insegnamenti, ladro di esperienze. Per crescere ho dovuto rubare, rubare il lavoro agli altri, guardandoli con attenzione per far mio quello che era loro. La mia crescita è legata a questi furti o scippi che ancora metto in atto. Anche i miei allievi mi insegnano,io rubo loro le cose che con enfasi, con entusiasmo mi raccontano e le faccio mie. Ancora oggi mi guardo in giro e rubo a chiunque abbia qualcosa da dirmi o da darmi che mi sembri interessante, mi interessa la sensibilità degli altri e me ne approprio lestamente. Ma anche il Nono e il Decimo Comadamento che Dio assegnò a Mosè sul Sacro Sinai mi vedono peccatore. Le belle cose d’altri mi attirano tanto da desiderarle in modo immediato ossessivo e appassionato, come non eisderare una testa di marmo bianco di Brancusi, un gatto filiforme di Giacometti, una tela di Twombly o di Rothko o di Pollock o un oggetto di Beuys? Ma io desidero da sempre anche le belle donne d’altri, bando a ipocrisie, mi interessa la loro anima, la loro sensibilità, ciò che non è vistoso e cerco di sedurle, di mettere in atto tutte le mie armi ma poi temendo di esssere rifiutato mi ritiro in buon ordine anche per non distruggere famiglie e serenità e trasformo tutto in sogno...
Mimì, Enrico Baleri, Baleri Italia, 1991
Tra gli imprenditori del settore ti sei sempre distinto per una forte componente culturale e per attività di studio e recupero apparentemente esterne al tuo lavoro. Un bisogno? Una propensione? Un modo differente di fare ed essere uomo di azienda?
Un imprenditore non può non essere attento, non può esimersi dal conoscere la storia, la storia dell’arte, la storia della cultura, la storia della musica. Un imprenditore che faccia design, che venda pure Coca-Cola, non può prescindere dalla storia di quell’azienda, dalla storia radicata, delle sue origini, dalle consuetudini, dalle abitudini… Purtroppo gli imprenditori oggi, soprattutto questi manager di fondi, spavaldi, agguerriti e spacconi, fanno tutto per vendere prodotti senza tener conto della storia d’impresa, della sua realtà, delle sue tradizioni. La cultura è fondamentale, è un mezzo per fare marketing e da sempre ce lo insegnava Adriano Olivetti… la cultura e soprattutto l’attenzione a tutto ciò che è etica, estetica, a tutto ciò che è bello, a tutto ciò che è sensibilità.
Camillo, Enrico Baleri, Baleri Italia, 1991
Hai mille e più possibili racconti sul design e sull'architettura. Hai portato Starck in Italia. Parliamo brevemente di lui e di altri cavalli di razza della tua scuderia?
Quello che nessuno crede è che Philippe Starck andasse a bussare a tutte le porte, e io sono stato il primo in assoluto a mostrargli il mio vero interesse. Perché ho intuito in lui grandi qualità, in quegli occhi furbi e vispi, e non per quello che mi mostrava che era molto povero di contenuti ma per quello che mi trasmetteva la sua anima. È curioso sapere e raccontare che è stato rifiutato da tutti quelli che poi e ancora oggi lo osannano.Lo stesso Gavina che ha "scoperto" personaggi fondamentali nella nostra storia lo ha allontanato… dopo una breve prova!Starck è capace di seduzione nel modo migliore, di fingere certezze, ma non devo dimenticare che spesso pospone le funzioni rispetto alla forma e questo per me non è del tutto legittimo ma a lui piace prendersi gioco degli imprenditori che spesso ci cascano.
Lunella,, Enrico Baleri Baleri Italia, 1999
I cinque progetti/oggetti per cui passerai alla storia.
Se è vero che quanti fanno qualcosa di innovativo passano alla storia, ci dovrei passare anch' io... Credo di aver avuto il merito, avendo molto “preso” ai grandi che ho sempre avvicinato con determinazione, avidità e bramosia, di aver intuito ciò che è autentico da ciò che è falso, ciò che ha futuro da ciò che è solo l'esteriorità di un attimo... Certamente Spaghetti Chair è una mia creatura perché era già negli scantinati, ma anche la Sedia Seconda di Botta, della quale sono stato eletto padre putativo, è un prodotto di rigore formale e funzionale, e poi non posso dimenticare che alcuni progetti miei hanno l’autorevolezza del vero progetto industriale perché ne hanno gli attributi: la serie Tato, ironica, tecnologica internazionale e funzionale al tempo stesso, la sedia Mimì che introduce il colore, la traslucidità e il policarbonato nell’arredamento e il mio tavolo Camillo che è così leggero e silenzioso e tecnologico che pochi se ne sono accorti... Aggiungerei infine la libreria Ypsilon di Mangiarotti un autentico geniale designer strutturista che nessuna “voce” dell’arredamento ha mai considerato o commentato.
Seconda, Mario Botta, Alias, 1982
Perché molti imprenditori di successo e visionari degli anni Novanta oggi non riescono più (non vogliono, non possono o non interessa loro) a svolgere questa importante funzione sociale? Quanto e se sono cambiate le regole del (duro) gioco?
Abbiamo assistito ahimè alla scomparsa di alcuni autorevoli personaggi della prima generazione post guerra: Dino Gavina, Sergio Camilli (Poltronova), Ignazio Gardella e Caccia Dominioni (Azucena), Pirelli (Arflex) e DuPont (C&B) con le loro ricerche, il grande dimenticato Bruno Danese, ora anche oltraggiato nell' interpretazione di suoi prodotti (Falkland di Munari) e lo stesso Cesare Cassina che autorevolmente scippa i mobili di Le Corbusier che stavano nella scrivania di Gavina… Quindi la seconda generazione è fatta di persone spesso ricche, Ferrari e Bentley nel box, tanti soldi ereditati e raggranellati dai genitori a volte dai nonni, che se la spassano ancora bene e che non conoscono la storia della loro azienda, non vogliono entrare nel merito e quindi sparano e sparano nuovi prodotti, cercano archidesigner altisonanti, illuminati di luce esterna e non interna e li subiscono perché non hanno capacità e cultura per interloquire, ed ecco nascere assoluti aborti e le loro attività non possono che aver vita breve!
Spaghetti Chair, Giandomenico Belotti, Pluri 1962/ Alias 1979
Cosa ti interessa oggi veramente di alcuni fenomeni in essere? Autoproduzione, stampanti remote (download design), progetti transnazionali e condivisi?
Capisco poco di queste parole. L’autoproduzione è soliloquio o meglio onanismo, o meglio una sega mentale nel senso che autoprodursi vuol dire voler fare figli senza un padre o una madre, quindi non ne viene niente, solo prodotti artigianali che non superano i confini del nostro Paese se non della Regione dove sono nati. Quindi stampanti remote, progetti transnazionali… È tutto vero, oggi si realizzano prototipi più velocemente ma una volta l’artigiano prototipista, che era un falegname o un fabbro o un modellista era chi sapeva mettere molta parte del progetto nel progetto stesso, la sua creatività, le sue competenze rimediavano molti errori del progettista, cosa che oggi le stampanti non possono fare perché come sappiamo non hanno anima, trasmettono dati che vengono dal computer in 3D e li riportano pari pari, e quando te lo ritrovi davanti quel risultato spesso ti affascina anche a torto perché non hai spirito critico ed ecco che da lì nascono prodotti spesso senza autenticità. Allora l’apporto dell’uomo, dell’artigiano che è vietata nella produzione industriale perché nata per essere soprattutto tecnoclogica, per un possibile grande numero e l’artigiano non ne è capace, non è il suo obiettivo.
Ypsilon, Angelo Mangiarotti, Baleri Italia, 1996.
Abbiamo avuto occasione di parlare pubblicamente delle scuole di progetto. Avevi una posizione critica. Te lo chiedo in modo diretto. Cosa pensi dell'insegnamento del progetto?
Si racconta tanta storia, tanti aneddoti forse, tante curiosità ma non si entra nel merito del progetto, non si analizza la parte fondamentale del progetto stesso, l’esegesi, l’aspetto fondamentale tecnologico, la storia, la storia dell’azienda che lo produce. Quindi lo sguardo che si fa a scuola è sempre a volo d’uccello, a quella distanza che non entra mai dentro ma sta sempre fuori, in superficie. Ed ecco che, a parte alcuni docenti illuminati, le giornaliste e la critica del design, non sanno assolutamente distinguere tra il falso e il vero design che si qualifica per una tecnologia e confacente per la sua forma.
Vorrei aprire l'argomento social. Le tue perline sono spesso acqua nel deserto, luoghi di incazzatura e dibattito. Come sono nate? A chi si rivolgono? Come le evolverai?
Le mie Perline sono verità. Sono semplicemente verità raccontate da un signore che ha 75 anni, quindi maturo, pur sentendosi molto giovane, che ne ha viste di tutti i colori, che è stato tradito molte volte da persone, come dire, molto abili nel tradire per il proprio tornaconto, che ha sempre cercato di dire la verità e che ha sempre considerato l’autenticità come bene assoluto. Quando io racconto l’autenticità gli imprenditori si alterano perché si rendono conto che loro non sanno neanche che esiste. Quando io dico che l’autenticità è verità, che è leggerezza, che è ecologia, che sono valori da inseguire, loro mi prendono per pazzo perché queste cose non sanno essere valori fondamentali. Il mio libretto “Alla Ricerca di Valori” è considerato illuminante dagli intellettuali del progetto che sono pochissimi e assolutamente fuori misura rispetto ai tanti altri che vogliono solo rumore e clamore, piuttosto che sussurri e silenzi!
Cambiamento come necessario e ineluttabile dinamica di vita. A cosa stai lavorando? Tanto lo so che non smetterai mai...
Il cambiamento è fondamentale. La distribuzione non funziona, il rapporto tra industria e distribuzione si è frantumato, come supponevo già negli anni Ottanta e cercavo di farne un metodo di interesse e di attrazione. Oggi sto cercando di riportare alla luce certe realtà che avevo seminato, diffuso negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, ridare loro vita se possibile, classificarmi come “vate”, perché mi riconosco tale, di verità che pochi conoscono, nell’obiettivo di innovare un criterio distributivo che va assolutamente cambiato e tempi brevissimi, soprattutto in Italia, e di continuare quelle realtà di progetto che hanno in sé la non obsolescenza come valore ultimo che deriva alla fine del percorso progettuale dagli altri valori a cui si è riferiti.
Mi interesserebbe una tua seria posizione sul mondo del lavoro, legato alle prospettive di chi inizia ora. Non necessariamente nel campo progettuale. Lasciaci una speranza.
Quando faccio lezione agli studenti dico loro: “non illudetevi di trovare facilmente lavoro, dipende da voi, dipenda dalla vostra determinazione, spesso sapersi vendere conta più della cultura perché gli uomini che stanno dall’altra parte sono ahimè più affascinati dalle parole che dalla storia. Quindi sapersi vendere e questo la scuola non ve lo insegna, deve essere una dote che sviluppate o che ritrovate nel vostro DNA. Chiaro che il figlio di un venditore, di un imprenditore saprà vendersi meglio del figlio dell’agricoltore, del figlio del medico. Alla fine mi prefiguro delle città pulite, profumate di sole e di silenzio. Foreste “lussureggianti” sempre più ampie anche a caratterizzare le nuove città. Un popolo in pace disarmato e disrmante! I deserti di erba, di vigne, di alberi da frutta. Le migrazioni arrestate o contro le attuali correnti. I padroni del petrolio annientati e le nuove energie che tutto trasformano ci vengono dal sole, dalle maree, da energie alternative senza inquinanti. Ecco che il progetto industriale diventerà strumento di vita e di confort, i valori che lo caratterizzano saranno accentuati e discriminati. Gli spremiagrumi di Starck verranno gettati in un grande mucchio in un museo degli orrori e la gente ne prenderà visione con raccapriccio e fingerà di non avrli mai posseduti. E come gli spremiagrumi anche i nanetti da giardino con spergiuri del loro produttore che tutto rinnegherà. Starck sarà il primo a rimpiere un museo perché il più famoso ma poi ci entreranno i merdolini e tanta altra roba che sarebbe meglio finisse in luoghi predestinati che nei musei! E sarà la fine del kitsch per i ricchi come diceva spesso il mio papà Dino Gavina.
Enrico Baleri, ottobre 2017